Mancano poche ore al voto finale sulla legge di stabilità in commissione Bilancio alla Camera e, tra gli ultimi voti in ballo, c’è proprio quello sul taglio dei fondi per i patronati: una sforbiciata da circa trecento milioni di euro per il 2015 e di 150 l’anno a regime, che di fatto porterebbe al licenziamento di circa 10 mila operatori e alla fine di questa essenziale forma di welfare e di assistenza gratuita per milioni di cittadini. A meno di sorprese, però, l’esito descritto dovrebbe essere scongiurato. Contro la norma proposta dal governo si sono mobilitati non solo i diretti interessati e gli stessi cittadini ma centinaia di parlamentari di tutti i gruppi politici. Una raffica di emendamenti si è abbattuta sulla misura governativa con centinaia di firme di deputati contrari alla soluzione finale per i patronati.
Dal Pd, con oltre 140 firmatari, a Forza Italia, da Sel alla Lega, i gruppi di maggioranza e di opposizione hanno presentato e sostenuto, in pratica, lo stesso emendamento finalizzato alla cancellazione del taglio e al ripristino del fondo per i patronati. Tutti nella consapevolezza che ogni altra soluzione finirebbe per provocare un danno non solo ai lavoratori dei patronati (e certo mettere per strada 10 mila persone non è un effetto da poco), ma soprattutto ai cittadini. E, a ben vedere, anche alle casse pubbliche.
Sul primo versante, tanto più dopo la telematizzazione completa dei servizi dell’Inps, a diretto contatto con le persone sono rimasti solo gli operatori dei patronati. Per quanto riguarda, invece, il risparmio per lo Stato, basta osservare che il fondo per il 2013 ammonta a 430 milioni, mentre il sistema dei patronati garantisce complessivamente al bilancio pubblico un risparmio annuo di oltre 657 milioni di euro: 564 milioni di euro per l’Inps, 63 milioni di euro per l’Inail e 30,7 milioni di euro per il Ministero degli Interni.
Se questo è il quadro di riferimento, si comprende come il Parlamento si sia mobilitato in forze per evitare il peggio. In questa direzione si è mosso anche il governo e, in particolare, il Ministero del Lavoro, ipotizzando una soluzione che, in parte, ridurrebbe a 75 milioni l’entità della sforbiciata e, in parte, favorirebbe una sorta di apertura dei patronati al mercato, naturalmente con servizi pagati dai cittadini.
Ma per i vertici dei patronati le ipotesi relative alla revisione del taglio al fondo patronati e alla riforma del sistema, attualmente proposte dal governo, provocherebbero l’inevitabile azzeramento del ruolo sociale di questi soggetti. «L’orientamento, infatti, pare essere quello di “incrociare” i bisogni di tutela delle persone – si osserva - con il mercato, dando il via ad una corsa sfrenata ad accaparrarsi la difesa dei diritti previdenziali e socio-assistenziali, rigorosamente a pagamento, in nome del perseguimento di obiettivi legati a logiche di nicchia. Logiche che rappresentano il vero problema di questo Paese». «Inoltre, un provvedimento come quello prospettato – si aggiunge - rappresenta una palese violazione costituzionale: il ruolo di tutela gratuita dei patronati è previsto dall’articolo 38 della Costituzione come diritto dei cittadini. Un intervento di riduzione del fondo, tale da non consentire la sopravvivenza del sistema, se non a pagamento, ne lede in maniera evidente la natura così come prevista dalle norme costituzionali».
A questo punto, a poche ore dalla decisione della Camera, più che sull’emendamento del governo, si confida sulla valanga di richieste di modifica arrivate dai parlamentari.
Raffaele Marmo
Fonte:
le nostre pensioni